domenica 15 marzo 2009

CIAO PRESIDENTE


Si fermava a stringere la mano a ogni tifoso, aveva uno stile antico, sapeva parlare al cuore delle persone: Ugo Longo aveva la capacitdi riunire, di avvicinare, di coinvolgere, anche con un sorriso e un piccolo gesto. E’ stato un formidabile punto di riferimento, uno straordinario traino, un gancio speciale nella storia centenaria della Lazio: con una dedizione infinita l’ha protetta, guidata e illuminata in quell’anno e mezzo di buio profondo, fra il crollo finanziario di Sergio Cragnotti e l’ingresso di Claudio Lotito.
E’ stato l’uomo degli equilibri, della saggezza e della serenità. Nutriva un rispetto sacro nei confronti di chi paga un biglietto e spende soldi per una trasferta: loro, i ragazzi della curva Nord o gli abbonati della Monte Mario, erano sempre al centro dei suoi pensieri e dei suoi discorsi. In un calcio gelido e povero di sentimenti, schiacciato dai soldi e malato di tensioni, riusciva ancora ad attribuire alla gente un ruolo da protagonista.

Lo stadio era un po’ il salotto di casa sua: si fermava davan­ti ai cancelli dell’Olimpico ad ascoltare le aspettative, le richie­ste, i commenti dei suoi interlocutori, prima e dopo ogni par­tita, senza mai inciampare nell’indifferenza di chi va sempre di fretta e si pone un gradino sopra agli altri. Chiaro, sponta­neo, immediato, semplice. Aveva classe, eleganza e senso del­l’umorismo: apparteneva, nei modi e nei comportamenti, a un calcio romantico. Una figura così aperta e affabile, nella me­moria dei laziali, mancava dall’epoca di Umberto Lenzini, ar­tefice del primo scudetto insieme con Tommaso Maestrelli: anche lui raggiungeva il posto in tribuna camminando accan­to ai tifosi, fra abbracci e saluti, sotto il sole e la pioggia. Sem­pre con la sua sciarpa biancoceleste intorno al collo.

Ugo Longo amava riconoscersi negli umori, nelle emozioni, nelle passioni del pubblico. Un rapporto viscerale che consi­derava una fonte di arricchimento. Aveva preso il comando della Lazio il 3 gennaio del 2003, al termine di uno dei giorni più lunghi e agitati nella storia della società: Sergio Cragnotti aveva lasciato la presiden­za dopo uno scudetto e sei coppe, travolto dalla gravissima crisi della Cirio. Ugo Lon­go, avvocato penalista di grande fama, si ritrovò a gestire uno dei momenti più critici: non c’erano i soldi per onorare gli stipendi dei calciatori, il bilancio era di­vorato dai debiti e bisognava cercare con urgenza potenzia­li acquirenti per evitare il fallimento del club. Un estenuan­te conto alla rovescia, un primo salvataggio sul filo di lana, lavorando al fianco del professor Roberto Pessi, suo vicepre­sidente, e degli amministratori delegati Luca Baraldi e Giu­seppe Masoni. Nell’estate del 2003, attraverso un nuovo au­mento di capitale, la Lazio trovò le risorse per iscriversi al campionato. In silenzio, senza fare comunicati e organizza­re conferenze, decise di azzerare le sue parcelle.

La squadra accettò di scendere in campo senza prendere un euro per sette mesi. Ugo Longo aveva instaurato con i giocatori un dialogo sincero: arrivava al problema senza scorciatoie e frasi interlo­cutorie. Li teneva aggiornati in maniera co­stante sulla situazione economica della La­zio. Mangiava spesso al loro tavolo, duran­te i ritiri. E a Vigo di Fassa, nell’estate del 2003, si sistemava ogni mattina su una pan­china di legno, in giacca e cravatta, per se­guire gli allenamenti di Mancini. Amico ve­ro, maestro di vita, confidente: non era so­lo un presidente per Fiore e Simeone, per Favalli e Stam, per Marchegiani e Mihajlovic.

Ha chiuso con il calcio festeggiando la conquista di una Cop­pa Italia in finale contro la Juventus di Lippi: era il 12 mag­gio del 2004, a distanza di trent’anni esatti dallo scudetto di Chinaglia, Re Cecconi, Pulici e Frustalupi. A Torino alzò al cielo quel trofeo guardando commosso la sua gente, in attesa di dimettersi il 19 luglio e di lasciare la presidenza a Lotito. Uscì di scena in punta di piedi, senza rivendicare meriti e ri­conoscimenti: aveva tagliato il traguardo, la sua missione era finita. Nei momenti del bisogno, comunque, ha continuato a muoversi in prima linea. E nel 2006 ha difeso la società bian­coceleste al processo di Calciopoli. Ma la sua fotografia più bella resta un’altra: quella di aver rappresentato sempre la Lazio con stile e dignità. E’ stata questa la sua partita perfet­ta, è stata questa la sua vittoria incancellabile.

-Stefano Chioffi-

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