mercoledì 9 settembre 2009

Vangeli secondo Spalletti


SCRITTO DAL NOSTRO AMICO Fabrizio Villafranchi
dai Vangeli secondo Spalletti
Spalleti, 4 (4-2)

A quei tempi, Luciano Spalletti predicava nel catino del Foro italico alle sue sparute genti e vagheggiava di supremazia cittadina ed ambizioni europee.

Erano giornate di letizia che precedevano la Pasqua e nessuno faceva caso a lui.

Improvvisamente, quattro viandanti Laziali, stracchi ed affaticati, gli si fecero innanzi e Spalletti, volto lo sguardo sul primo di loro, chiese con fare autoritario cosa egli volesse.

Era un giovane Bianco e Celeste e proveniva dalla lontana Macedonia e, proprio in onore del nome della sua terra, gli elargì una pera al secondo minuto.

Luciano, sorpreso da cotanta audacia e preso da un moto rabbioso, levò, con fare minaccioso, il braccio destro e chiese, con voce stentorea e possente, un segno tangibile a riprova della loro fede.

Proprio in quell'istante il secondo viandante, chiamato dagli altri con il nome di Maurito, sparò un bolide da fuori area all'incrocio esatto dei pali.

Fu il segno che tutti attendevano da mesi e mesi e Spalletti, livido dall'astio, chiamò i suoi a raccolta per porre rimediò a tutto questo.

Proprio mentre echeggiavano le sue grida furiose, il terzo di loro, un giovane biondo e dagli occhi cerulei, si innalzò su una nuvola, al di sopra dei tre falegnami che di lui dovevano occuparsi e che, viceversa, discutevano tra loro sulla vacuità dei dettami del duce di Certaldo.

Fu un durissimo colpo per Luciano Spalletti e quando l'ultimo viandante, sceso per lui dalle lontane vette dei Balcani, gli si parò davanti, gli disse di tornarsene sui suoi passi poichè, preso dallo sconforto, null'altro avrebbe potuto dire in quella giornata.

Così fu ed il viandante, voltate le spalle a Spalletti, fuggì seco il pallone per 70 lunghissimi metri e lo depositò nelle lontane reti, sotto curva Nord.

Oramai disperato ed affranto, Luciano Spalletti richiamò il suo prediletto, un ometto sfatto, con un braccio fasciato ed il pollice consunto dal troppo ciucciare.

Nel far ciò, Luciano Spalletti pose la sua mano sinistra sulla spalla di lui e quello, che era chiamato Totti, si gettò a terra contorcendosi dal dolore, nella più bieca simulazione.

Vedendo che non vi era rimedio a quella situazione, Spalletti si rifugiò, con i suoi accoliti, negli spogliatoi e vi rimase lunghe ore a chiedersi in cosa avesse sbagliato.

SCRITTO DAL NOSTRO AMICO
-Fabrizio Villafranchi-

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